01/04/2020 –

Alla fine la relazione (QUI) sulle consulenze degli ultimi cinque anni al Consorzio Venezia Nuova è arrivata. È giunta la relazione, ma purtroppo i dati sono illustrati in modo disordinato e soprattutto appaiono incompleti, all’interno di una relazione in molte parti omissiva.

Tutta la nostra attenzione in questi momenti è giustamente rivolta all’emergenza Coronavirus, ma vale comunque la pena di approfondire il tema. E non perdere di vista i problemi di Venezia.

A maggior ragione poiché in questo quadro di incertezza e scarsa chiarezza si sono aggiunte anche le dimissioni del commissario Vincenzo Nunziata, nominato da poco tempo. Nunziata già un mese fa aveva annunciato di voler lasciare l’incarico per contrasti con gli altri due commissari del Consorzio Venezia Nuova (Fiengo e Ossola). Le dimissioni rappresentano un gesto che alimenta confusione e disorientamento. Ed è presumibile che riguardino motivi molto gravi, dal momento che giungono in una fase di emergenza che sta sconvolgendo l’intero Paese.

Complessivamente nel 2019 ci sono state consulenze per circa 2 milioni (1.929.073, di cui 252.908 per cause e ricorsi), alle quali volendo aggiungere anche le quote non fornite in carico a Comar (controllata del Consorzio) e il compenso di 240mila euro per ciascuno dei tre amministratori straordinari. In tutto siamo sui 3 milioni. La relazione fornisce i dati solamente per il 2019. Per le altre annualità ci sono i nomi dei consulenti, la descrizione dell’attività svolta, ma non sono indicati i compensi. La relazione è anche molto lacunosa, in quanto mancano i dettagli sui compensi delle consulenze cessate negli anni 2015, 2016, 2017 e 2018. Perché, dal momento che la richiesta avanzata in Commissione alla Camera era stata molto chiara?

Un’omissione molto grave, in quanto erano già cessate consulenze molto onerose relative agli anni precedenti.

Tutto nasce infatti nel corso dell’audizione dello scorso 14 febbraio con il “supercomissario” al Mose Elisabetta Spitz e il Provveditore alle Opere Pubbliche Cinzia Zincone in Commissione Ambiente alla Camera. E aveva l’obiettivo di aggiungere elementi di trasparenza nella vicenda Mose che ci accompagna da più di 30 anni.

L’audizione rientra nell’ambito dell’indagine conoscitiva sugli interventi relativi alla salvaguardia di Venezia, che sta viaggiando contestualmente all’esame della Nuova Legge Speciale. Due iniziative che ho promosso per fare piena luce su quanto si sta facendo per attualizzare la legislazione per Venezia e favorire l’arrivo di maggiori risorse per la città.

La richiesta delle consulenze rientra all’interno di una ampia ricognizione sui tanti aspetti del “Dossier Venezia”, nella consapevolezza che il modus operandi del Consorzio costituisce uno dei tasselli strategici del puzzle Mose. I veneziani e tutti i cittadini italiani devono sapere come vengono spesi i soldi, soprattutto dopo lo scandalo che ha così offeso e umiliato la città. E hanno il diritto di sapere in modo trasparente cosa è stato fatto in 5 anni di commissariamento del Consorzio. Ovvero capire perché i lavori si sono pressoché bloccati o hanno viaggiato al minimo.

La relazione – firmata solo da Ossola, non da Nunziata (ora dimissionario) e condivisa da Fiengo – non aiuta molto a comprendere, in quanto è tutta tesa a difendere l’operato del Consorzio negli ultimi 5 anni in rapporto alla gestione del “sistema Mazzacurati”.

Ma qual è il senso del raffronto? A ben vedere il fallimento della gestione commissariale è tutto compreso in questa relazione costruita sul confronto tra consulenze, prima e dopo lo scandalo, per dimostrare che ora si spendono “solo” 2 milioni all’anno, al netto dei costi di funzionamento del Consorzio e dei compensi dei commissari. Ovvero meno della metà di prima. Tutto qui? Si è risparmiato in consulenze e ci sono meno sprechi rispetto ai tempi del malaffare imperante? Menomale, verrebbe da dire.

Ma il metodo di lavoro non è sostanzialmente cambiato dal passato, come è scritto a chiare lettere nella prima pagina della relazione. Vale a dire che è stata creata una struttura esterna, meno costosa, dentro le regole, con l’obiettivo di affiancare e di fatto svuotare di funzioni il Consorzio e le controllate (Thetis e Comar) e sfiduciando i dipendenti. Non era possibile valorizzare le risorse interne? I commissari sostengono sempre di non avere risorse a sufficienza per pagare gli stipendi dei dipendenti, però hanno ritenuto di affidare consulenze che, alla resa dei conti, non hanno consentito di conseguire i risultati attesi.

La relazione è tutta volta a dimostrare che la struttura esterna, costituita perlopiù da professionisti legati da un rapporto fiduciario con i commissari, ha garantito risparmi ed efficienza. Ma sull’efficienza perlomeno i dubbi sono molti: se così fosse i cantieri non sarebbero stati pressoché fermi per anni. Com’è noto i soldi ci sono sempre stati, ma sono mancati i progetti da mettere in gara. E che i risultati siano stati modesti è evidente, tant’è che il governo è dovuto correre ai ripari nominando un “supercommissario”.

Ma era questa la missione dei commissari? Mortificare i dipendenti di Consorzio e controllate, oppure avrebbero dovuto rimotivare il personale rilanciando le attività? Vien da pensare che si sono mossi come se all’interno regnasse ancora il malaffare, ma se così fosse avrebbero dovuto rivolgersi immediatamente alla magistratura. Se il Consorzio è una struttura irriformabile avrebbero dovuto proporre lo scioglimento. Di certo questo “doppio schema organizzativo” non solo è antieconomico, ma non ha permesso di raggiungere i risultati prefissati e nei tempi previsti. A questo punto c’è da chiedersi se dopo cinque anni la fase commissariale del Consorzio non sia da ritenersi conclusa, o quantomeno sarà da rivedere con tempestività la convenzione in atto con lo Stato, circoscrivendone il perimetro d’azione.

Bisogna anche rilevare che la relazione è diventata un’altra occasione per rimarcare le tante conflittualità tra i commissari e gli altri attori in campo. Le tensioni anzitutto con il Provveditorato alle Opere pubbliche, che preferisco continuare a chiamare Magistrato alle Acque. In tal senso è davvero molto pesante il passaggio contenuto, sempre nella prima pagina della relazione, in cui OOPP non sarebbe ritenuto “in grado di assicurare l’effettuazione dei controlli capillari previsti nella Convenzione”. Accuse molto gravi che, anziché offrire un contributo alla chiarezza, alimentano tensioni e preoccupazioni.

Per cui appena possibile chiederò un’audizione con il Prefetto di Roma in Commissione alla Camera, e chiederò soprattutto l’intervento urgente del Governo, in particolare del Ministro alle Infrastrutture perché facciano piena luce, una volta per tutte, sull’intera partita Mose. Un’esigenza indifferibile soprattutto dopo le dimissioni di Nunziata. In tale contesto diventa quantomai urgente inoltre conoscere i risultati dell’inchiesta voluta proprio dalla Prefettura di Roma sulle attività del Consorzio.

Questo documento è l’ennesima conferma dell’urgenza di aggiornare la normativa della Legge Speciale, il cui esame è in corso, soprattutto in relazione all’individuazione di un’Authority per la gestione e la manutenzione del Mose – art. 5 PDL 1428 – e al ripristino del Magistrato alle Acque – art. 4 -. Due facce della stessa medaglia che nel corso dell’esame della PDL potranno essere anche affrontate in modo unitario.

L’importante, compatibilmente con l’emergenza Coronavirus che stiamo attraversando, è fare presto.

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