18/09/2019 –

In queste ore tormentate in cui il PD sta consumando una scissione dolorosa, nessuno ha dubitato della mia permanenza nel partito. Ciò perché il mio atteggiamento è sempre stato molto chiaro.
Sono approdato al PD dopo un percorso civico che mi ha consentito di essere eletto in Consiglio Comunale a Venezia, come il più votato del centrosinistra. Mi sono iscritto al PD nella convinzione che, soprattutto nella stagione di crisi che stiamo attraversando, la politica si debba fare anzitutto nei partiti, nonostante le debolezze e le fragilità che manifestano.
Il PD è il partito che in questa fase sta garantendo la tenuta democratica del Paese ed è argine alla deriva sovranista che rischiava di degenerare, portando l’Italia a una democrazia autoritaria, cavalcando paure e insicurezze. È una grande comunità plurale che porta avanti istanze e culture riformiste, che crede nei valori europei, che vuole combattere le disuguaglianze.
Sono entrato nel partito con un nutrito gruppo di persone, con la convinzione però che fosse necessario avviare una nuova stagione del Partito Democratico, aprendolo concretamente alle forze vive della società, portando il dibattito e il confronto dentro ma soprattutto fuori dal partito, tra i cittadini, le associazioni, i corpi intermedi.
 
L’uscita di Renzi e di un numero consistente di parlamentari dal PD, anche se non mette in discussione la tenuta del governo appena insediato, impone comunque l’apertura di un confronto franco sulla natura e sul futuro del Partito Democratico, che ha percorso un decennio segnato da diverse scissioni con un altissimo grado di conflittualità interna. Sarebbero state necessarie più unità e coesione invece di una scissione che rischia di indebolire sia il partito che il governo. Fino a ieri eravamo sotto lo stesso tetto, d’ora in poi sarà più complicato camminare assieme.
Nell’ultimo mese così convulso si è consumata prima una svolta radicale che ci ha portati al governo e ora la perdita di un pezzo di partito. Credo che tutto questo debba necessariamente comportare un dibattito ampio che coinvolga tutta la comunità democratica. Lo sostengo fin dal primo momento in cui sono entrato nel PD, se non si cambia il modo di stare e di vivere il partito non faremo molta strada.
Un partito fondato sulle correnti, sui capibastione, peraltro senza seguito, è destinato lentamente a consumarsi, come dimostra il deciso calo degli iscritti.
Bisogna aprire una stagione nuova, è necessario rifondare il Partito Democratico anzitutto aprendolo all’esterno. Passando dal criterio della fedeltà, che è stata la bussola anche in queste ultime settimane, a quello della democrazia interna. Solo se il PD sarà un corpo vivo, che interpreta e rappresenta in pieno i bisogni della società, potremo tornare a conquistare la fiducia degli elettori che abbiamo perso.
Non dimentichiamo che siamo arrivati al governo attraverso un percorso legittimo in una democrazia parlamentare, ma senza essere passati da una prova elettorale. Non è la prima volta che succede.
 
Emanuele Macaluso, con cui ho l’onore di condividere amicizia e stima, sostiene che “c’è una classe dirigente del centrosinistra ammalata di governite”. Penso che sia una battuta efficace, per dire che per sua natura il PD non può essere un partito abile solo ad agire in ambito parlamentare, bensì avrà un futuro solo se tornerà ad essere una forza politica radicata nei territori, sempre in prima linea dove ci sono i problemi dei cittadini. Punto di riferimento delle fasce più deboli del Paese.
Un partito deve guidare e non seguire l’opinione pubblica. Questa è la sfida che abbiamo di fronte.
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